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1968 1_novembre

Le stanze dei ricordi - Racconti nefrologici > Livello 11



"Come il 1 novembre 1968, tutti i Santi, non si trasformò nel 2 novembre, commemorazione dei defunti"

1 novembre 1968



Il primo novembre del 1968 è una data importante per la storia della nefrologia torinese, per un episodio allora non divulgato e sinora noto solo ad una limitata cerchia di vecchi addetti ai lavori.
Cosa avvenne quel giorno, passati oltre quarant’anni, penso ormai possa essere raccontato.


Con l’apertura della sala dialisi per cronici, nel maggio del 1967, il lavoro per il laboratorio, aveva subito un enorme incremento, per fronteggiare il quale, nonostante l’assunzione in laboratorio di una aiutante, si era resa necessaria la rinuncia sistematica al riposo del sabato e delle festività infrasettimanali ed era richiesta una copertura del servizio prolungata, dal primo mattino alla sera, con orari ben superiori a quel part time concordato all’assunzione, senza alcuna possibilità di remunerazione aggiuntiva.


Un'ennesima accesa discussione col prof. P., a metà del mese di ottobre del 1968, originata da divergenze su visioni etico-gestionali riguardanti le regole d'invio dei campioni al laboratorio, terminò con una rottura ed una mia dichiarazione d’intenti, di ridurre l’attività solo all’orario contrattualmente pattuito, con  esclusione delle numerose ore addizionali sino ad allora gratuitamente fornite.


Il giorno 1 novembre 1968 (festività di Tutti i Santi), nel rispetto del contratto di lavoro e di quanto dichiarato pochi giorni prima al prof. P., avrei dovuto astenermi dal recarmi al lavoro, prevalentemente indirizzato in quel periodo al controllo dei parametri ritentivi ed elettrolitici dei pazienti uremici acuti e da alcuni mesi anche di quelli cronici, in dialisi bi o tri settimanale, e dei controlli sui relativi bagni di dialisi.


Quella mattina i bagni di dialisi, che in quell’epoca pionieristica per la dialisi erano preparati in loco dal personale infermieristico del reparto, sciogliendo in 350 litri d’acqua demineralizzata, dentro speciali vasche di plastica, poi travasati in un più grande vascone da 700 litri, un sacchetto di poco meno di due Kg d’acetato di sodio, un altro sacchetto di peso quasi analogo di cloruro di sodio ed un flacone da 50 ml contenente cloruro di calcio e potassio I flaconcini ed i sacchetti dei sali provenivano dalla Farmacia Interna (diretta allora dal dott. R.), pesati da personale ospedaliero del Laboratorio Preparazioni Soluzioni da Infusione, sotto l'allora responsabilità dal dott. T., giovane farmacista, tempo dopo successore del dott. R. alla direzione della stessa Farmacia.


Per un errore dell’operaio addetto alla pesata del cloruro di sodio, i sacchetti, etichettati NaCl, furono riempiti di sale proveniente da un bidone molto simile, contenente KCl, scambiato per uno di quelli contenenti NaCl.
Analogo errore avvenne anche per la preparazione delle fiale da 5 ml di fisiologia isotonica per endovene, distribuita ai reparti di tutto l’ospedale.


In quella mattinata festiva, la soluzione di dialisi fu preparata come al solito dal personale infermieristico della Sala Dialisi, prima ed unica struttura di quell’epoca in Piemonte attrezzata per la depurazione del sangue dei pazienti uremici.
Cinque pazienti si apprestavano ad essere collegati, tramite shunt artero venoso, alle prime apparecchiature di depurazione a piastra di Kiil, dove il loro sangue avrebbe dovuto diffondere, riequilibrando il proprio contenuto elettrolitico con quello della soluzione attinta dal vascone, depurandosi contemporaneamente delle sostanze tossiche accumulatesi per l’insufficienza renale.


Per lo scambio avvenuto in Farmacia, quella mattina la concentrazione del bagno di dialisi, prevista in circa 130 mEq/L di sodio e circa 1.5 mEq/L di potassio, risultava invece di circa 70 mEq/L di sodio e di 77 mEq/L di potassio.
Il conducimetro collegato alla soluzione di dialisi, per effetto dello scambio tra i due ioni, K e Na, di peso equivalente abbastanza vicino, forniva un segnale ancora all’interno dei limiti d’allarme strumentale.
Gli shunts dei pazienti erano gia stati collegati agli apparati di dialisi e le pompe di ricircolo del sangue avevano già procurato lo riempimento dei dializzatori e quelle del bagno stavano per essere attivate senza sospetto alcuno dell’imminente catastrofe.


La concentrazione elettrolitica del bagno che stava per essere diffuso attraverso la membrana di cellofan semi permeabile del dializzatore, per diffondere con il sangue dei pazienti uremici, avrebbe procurato la morte dei pazienti quasi contemporanea, per arresto cardiaco, nel giro di pochi minuti dall’avvio della dialisi.


Quella mattina, mi rigiravo nel letto, combattuto tra il desiderio di rispettare quanto dichiarato durante la lite con il prof. P. e gli scrupoli che mi avevano portato in quei due anni a non mancare mai in laboratorio all’avvio delle sedute dialitiche. Alla fine decisi di recarmi ugualmente al lavoro, giungendo inatteso in laboratorio, con un leggero ritardo rispetto al solito, provvedendo, come prima operazione abituale, al dosaggio degli elettroliti, Sodio e Potassio, del bagno di dialisi appena preparato, utilizzando un fotometro a fiamma Baird Atomic, primo strumento di tal genere introdotto nell’Ospedale Molinette alcuni anni prima.


Il primo risultato forniva una concentrazione di potassio fuori scala.


La preparazione da far analizzare allo strumento, in quell’epoca, prevedeva ancora una diluizione in un matraccio di vetro da 50 ml con tappo smerigliato, di un’aliquota di 0.25 ml del campione di bagno aspirato con pipetta di vetro a bocca, addizionata a 2.5 ml di una soluzione di nitrato di litio e portata a volume con acqua distillata. La soluzione del matraccio, ben rimescolata era versata in un piccolo imbuto dello strumento ed il risultato dell’emissione era confrontato con delle soluzioni, preventivamente preparate, a concentrazione nota di sodio e potassio, con cui lo strumento veniva di volta in volta tarato.
La complessa manualità delle operazioni non rendeva sempre certa la misurazione, richiedendone spesso la ripetizione.
Visto il risultato particolarmente elevato di quella mattinata, procedetti immediatamente ad una ripetizione della preparazione e del dosaggio.


Al ripetersi del dato abnorme, superato il primo attimo di stupore, mi precipitai subito in sala dialisi, fortunatamente a pochi metri di distanza dal laboratorio, bloccando l’avvio della seduta dialitica, mentre il medico di guardia ed il personale infermieristico stavano accingendosi ad avviare le pompe del bagno di dialisi, avendo nel frattempo già riempito i dializzatori con il sangue dei sei pazienti in attesa di dialisi.


Tornato in laboratorio, proseguivo le analisi arrivando, con diluizioni successive, a determinare la reale concentrazione del bagno di dialisi, e procedendo ad analizzare i sali dei sacchetti provenienti dalla Farmacia, riuscendo ad identificare l’errore commesso dalla Farmacia.


La seduta dialitica fu sospesa ed il sangue dei pazienti reinfuso.


L’incidente fu discretamente comunicato dai medici Nefrologi alla Direzione Sanitaria ed ai responsabili della Farmacia, i sacchetti furono immediatamente ritirati e sostituiti ed analogamente si provvide anche a ritirare da tutti i reparti, le fialette di fisiologica di quella partita, consegnate nel frattempo. Dato l’esiguo volume di fisiologica utilizzato per le endovenose (5 ml) nei reparti, l’elevata concentrazione di potassio in esso contenuto non avevano provocato danni irreparabili, raccogliendo solo, da parte dei pazienti cui erano state effettuate endovene, lamentele per un’anomala sensazione di bruciore all’iniezione.


Il prof. P., quel giorno assente per la partecipazione insieme al dott. C. ad un incontro che doveva tenersi a Lione, fu raggiunto telefonicamente in albergo da una telefonata che lo mise al corrente del fatto.
Tornato a Torino il giorno successivo, fu l’unico che venne a cercarmi, con un largo sorriso su un viso cereo, per ringraziarmi di essere stato presente in laboratorio, salvando così da morte certa i pazienti della dialisi, ma anche grato del pericolo scampato per lui, il prof, V. ed i dott. R. e T. della Farmacia di finire in tribunale, concludendo malamente la loro carriera.


All’avvenimento non venne data alcuna pubblicità, ma contribuì non poco a far vincere a quel giovane tecnico la sua insicurezza, almeno professionalmente, ed a farlo sentire, pur nella sua veste atipica, ancor più protagonista in quel gruppo di lavoro.





Michele Rotunno

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