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1987 - Il prelievo per gli esami di laboratorio

Esame delle urine - Urinary Sediments


Tratto da:
Corso di Aggiornamento del Personale Infermieristico dei Centri Dialisi per il biennio 1987-1988
(delibera Giunta Regionale n. 11-7766 del 16.09.1986)

"IL  PRELIEVO  PER  GLI  ESAMI  DI  LABORATORIO: VARIABILITA'  BIOLOGICA   ED   ERRORI  PREANALITICI DEI  PRINCIPALI  ESAMI  EMATICI - MODALITA'  DI  RACCOLTA  DELLE  URINE E  LORO  CONSERVAZIONE"





IL  PRELIEVO
PER  GLI  ESAMI  DI  LABORATORIO
______________
Michele Rotunno


VARIABILITA'  BIOLOGICA   ED   ERRORI  PREANALITICI
DEI  PRINCIPALI  ESAMI  EMATICI
_________________


Un esame di laboratorio, per essere correttamente utilizzato, deve essere affidabile e confrontabile.

Per affidabile si intende un risultato che si discosti molto poco dalla reale concentrazione della sostanza analizzata presente nel sangue al momento in cui è stato effettuato il prelievo.

Per confrontabile si intende un risultato che possa essere utilizzato per monitorizzare la situazione clinica del paziente nel tempo, che sia cioè paragonabile ai risultati di altri esami analoghi effettuati in altri momenti.

Affinché' queste due condizioni siano rispettate, é necessario che gli operatori addetti alla richiesta degli esami, al prelievo del sangue, all’invio in laboratorio, alla conservazione, alla sua esecuzione ed alla refertazione, siano ben consapevoli degli errori in cui possono incorrere.

L'affidabilità della maggior parte delle metodiche di analisi rutinarie, adottate dai moderni laboratori, consente un contenimento dell'errore metodologico o strumentale al di sotto del 5%.
La stragrande maggioranza degli errori, imputabili al Laboratorio di Analisi, che superano questo limite, è solitamente attribuibile a scambio di provette, errori di trascrizione dei risultati , omonimie, o ad alterazioni del campione pervenuto, sia durante la fase del prelievo, sia durante il periodo precedente l'arrivo in laboratorio, sia durante la conservazione ed il trattamento preanalitico nello stesso laboratorio.

Trascuriamo ora di prendere in considerazione gli errori in cui può incorrere un incauto laboratorista e concentriamo l'attenzione su quello che può accadere ad un prelievo di sangue prima di giungere in laboratorio, e sulle cautele da seguire per evitare il cosiddetto "errore preanalitico".

Una corretta identificazione del prelievo é fondamentale.

Sulla provetta dovrà essere indicato in modo chiaro e leggibile :

Cognome + Nome di battesimo , per limitare la possibilità di omonimie;

il reparto di provenienza;

la data;

l'ora di esecuzione del prelievo, se effettuato non nel primo mattino; oppure
il momento dialitico, per i pazienti sottoposti a trattamenti depurativi (nel caso di prelievi effettuati non all'inizio o alla fine, ma durante il corso del trattamento, indicare un tempo certo, ad esempio il numero di ore dall'inizio, e non quello dalla fine, che non puo' mai essere prevista con sicurezza);

la sede in cui é stato effettuato il prelievo  (reparto di degenza, ambulatorio, sala dialisi, camera operatoria, etc.);
    
gli esami richiesti.

Queste informazioni, registrate sul referto insieme ai risultati, sono indispensabili al medico che lo riceve, per collocare correttamente ogni esame nella giusta situazione clinica-biologica a cui fa riferimento.
Indispensabili ma non sufficenti, in quanto, insieme a queste informazioni, per alcuni esami, il medico deve conoscere molto bene la situazione biologica-metabolica del paziente nel momento in cui il prelievo é stato effettuato :    
l'età, il peso e l'altezza, la razza, il tipo e la quantità dell'alimentazione e delle bevande assunte, i farmaci eventualmente somministrati, l'attività fisica  esercitata,  lo stato emotivo, l'eventuale consumo di tabacco, l'attività sessuale svolta, eventuali interventi chirurgici subiti, malattie in corso o superate e , per le donne , il momento del ciclo o se in stato di gravidanza o in periodo di allattamento o in menopausa, etc..

Tutte queste situazioni possono intervenire, modificando la concentrazione di alcuni componenti ematici o la loro attività o morfologia, impedendo il confronto del singolo reperto con quelli che sono i suoi valori di riferimento tradizionalmente noti, riferiti ad una cosiddetta popolazione sana in condizioni standard.
Anche il confronto con un altro reperto dello stesso esame, per lo stesso paziente, effettuato in un diverso momento ed in una situazione diversa, viene a perdere significato, non consentendone l'utilizzo per la monitorizzazione di una situazione clinica, se tali informazioni non sono note .
Vale forse la pena di fare alcuni esempi e di elencare alcune delle variazioni subite dai parametri ematici nelle situazioni testé indicate.

L'indicazione del nome di battesimo, oltre a ridurre la possibilità di omonimie, consente solitamente il riconoscimento del sesso.    I valori normali di moltissimi parametri ematici differiscono tra uomo e donna.  Molti ormoni, non solo quelli sessuali, sono a livelli differenti, il numero dei globuli rossi e l'emoglobinemia sono di circa un 10 % inferiori nella donna, la colesterolemia é invece solitamente più alta nel sesso femminile, etc..

L'età del paziente deve essere nota, in quanto influenza anch'essa la variabilità di molti parametri. I valori limite nell'adulto di 4,8 mg% per il fosforo e di 11 mg% per il calcio,  salgono rispettivamente  a 7 mg%  e 12 mg% nel bambino, così pure i valori di fosfatasi alcalina sono aumentati nel periodo dell'accrescimento, la lipasi può essere ridotta negli anziani, etc..

Il peso e l'altezza, se noti, consentono il calcolo della superfice corporea, per mezzo di un nomogramma studiato da Dubois e Dubois.
La superfice media normale è di mq 1,73 ed a questa superfice fanno riferimento, ad esempio, i dati normali delle prove di funzionalità renale, tra le quali le richiestissime clearances ureica e creatininica .

L'entita' delle masse muscolari, principale serbatoio della creatina che, teminato il suo ciclo vitale, si trasforma in creatinina e viene a riversarsi nel sangue prima di essere eliminata con le urine, determina nel soggetto normale il valore della creatininemia. Un valore di questo catabolita di 1,4 mg% nel sangue, é ancora normale per un individuo grosso e muscoloso, mentre é già indice di insufficenza renale in un individuo piccolo e gracile.

Si sa come differente sia la composizione dell'emoglobina nella razza negra rispetto alla bianca .

Per molti esami viene prescritta una dieta particolare, a volte anche per diversi giorni precedenti il prelievo, ad esempio per gli screenings metabolici per lo studio della litiasi renale.
Come esempio della importanza della dieta vale la pena di citare un esame non ematico, ma che bene evidenzia gli errori in cui si può incorrere trascurando l'aspetto preanalitico: la ricerca del sangue occulto nelle feci.    Tale esame può risultare falsamente positivo non solo se non si è esclusa la carne dalla dieta nei tre  giorni precedenti, ma anche se il cibo ingerito, di per se corretto, ha provocato traumi alle gengive con  sanguinamento durante la masticazione,  tipico il caso di addentamento di mele o pere non ben mature o panini con la crosta. Prima di tale esame occorre  invitare il paziente ad astenersi persino dall'uso dello spazzolino da denti.

L'importanza di conoscere i farmaci assunti é ovvia se si pensa ad esempio agli esami della coagulazione dopo assunzione di aspirina, di antiinfiammatori o anticoagulanti, o ad una uricemia  effettuata dopo assunzione di allopurinolo.

L'esercizio muscolare induce aumento nel siero dell'acido lattico, della creatina, degli acidi grassi, di alcuni aminoacidi,  per tempi relativamete brevi, e di alcuni enzimi come la CPK, l'AST, l'LDH, etc., che possono permanere elevati ancora 24 ore dopo la interruzione dello sforzo.
In certi casi l'effettuazione dell'esame non dopo riposo, ma dopo una certa attività fisica, può essere invece utile. Nelle portatrici di distrofia muscolare di Duchenne, i valori di CPK a riposo non sono alterati, ma si elevano  diventando diagnostici, nel 50% dei portatori di tale malattia, se il prelievo viene effettuato nel tardo pomeriggio dopo una giornata di lavoro.

In soggetti particolarmente emotivi, l'ansia determinata dalla sola consapevolezza di doversi sottoporre ad un comune prelievo di sangue, può, grazie all'attivazione del sistema adrenergico, condurre ad aumenti della concentrazione dei leucociti nel sangue di oltre il 100%. Molto marcato può essere l'aumento degli ormoni surrenalici. L'iperventilazione indotta dall'ansia nel paziente emotivo, può produrre anche modificazioni dell'equilibrio acido base (alcalosi respiratoria) ed aumento dell'acido lattico e degli acidi grassi.
Il fumo è vietato durante la curva da carico di glucosio, perché altera il processo di assorbimento intestinale del glucosio. Durante tale esame per analogo motivo è controindicato masticare gomma.

L'attività sessuale regola la produzione di alcuni ormoni, e deve essere nota prima di interpretare i valori di una testosteronemia, di una prolattinemia, etc..

E' bene conoscere anomalie anatomiche, dovute magari a precedenti interventi chirurgici o altre patologie gia' diagnosticate, si pensi al ridotto assorbimento intestinale in pazienti che hanno subito interventi chirurgici addominali, o al paziente trapiantato, i cui dati biochimici debbono essere valutati alla luce della nuova situazione biologica.

Per la donna in gravidanza, l'ACTH, l'angiotensina, l' aminoacidemia, l' LDH, aumentano, la ceruloplasmina può raddoppiarsi, l'azotemia ed il magnesio diminuiscono. La calcemia diminuisce nell'ultimo trimestre e durante l'allattamento, il colesterolo totale aumenta durante la gravidanza, l'allattamento e le mestruazioni, l'uricemia aumenta durante le mestruazioni, la gravidanza e il parto e dopo la menopausa , etc..

Persino il luogo dove il prelievo viene effettuato può essere una variabile.
Lo stesso individuo si ritroverà due ematologici sensibilmente differenti se il prelievo é effettuato a livello del mare o in montagna. La conta degli eritrociti ed il loro diametro aumentano alle basse pressioni atmosferiche, come pure la bilirubinemia.

Notevole rilevanza sulle funzioni biologiche e quindi su molti esami del sangue, rivestono oltre ai ritmi circadiani, anche quelli infradiani, tra questi, le fasi lunari e le stagioni.

Per cercare di ridurre parte delle variabili su elencate, d'abitudine il prelievo di sangue viene raccolto di primo mattino, a paziente digiuno dalla sera precedente, dopo una notte di riposo.

Anche in queste condizioni però esistono delle variabili che occorre conoscere.

Una di queste può essere individuata dalla provenienza del prelievo: se da un ambulatorio o da un reparto di ricovero.

Vi é differenza tra l'eseguire un prelievo a paziente in piedi o disteso, in quanto la concentrazione nel sangue della parte corpuscolata, delle macromolecole e delle sostanze ad esse legate, aumenta nel paziente in posizione ortostatica, rispetto al clinostatismo.   Tale fenomeno, che può portare a differenze anche superiori al 10%,  è motivato da una diversa pressione all'interno del vaso, con una differente ridistribuzione dell'acqua e delle piccole molecole  che,  in condizioni di ortostatismo, privilegia il compartimento interstiziale rispetto a quello vascolare .  
A tale proposito,  alcuni autori auspicano  l' uso di  due tabelle di valori normali, una per i pazienti  distesi, idonea al confronto coi dati dei pazienti degenti a letto, ed una per i pazienti ambulatoriali, che sia standardizzata, facendo rimanere il paziente almeno 15 minuti seduto prima del prelievo.

In molti reparti ospedalieri, sia per richieste urgenti di esami, sia, come nel caso delle sale dialisi, per la monitorizzazione dei trattamenti depurativi, può diventare inevitabile effettuare prelievi in momenti diversi della giornata.  In questi casi, l'interpretazione del risultato si presenta molto più difficile  e differente da situazione a situazione.

La variabile che maggiormente influenza i vari esami é quella del momento digestivo.  Nel momento del massimo assorbimento intestinale, a seconda del tipo e della quantità di alimenti introdotti, si avrà un arricchimento nel sangue della concentrazione di numerosi componenti, con squilibrio delle sue caratteristiche fisico chimiche, che tenderà a regredire nel tempo, ma con velocità differente da soggetto a soggetto.
L' evidenza più eclatante si può avere dalla semplice osservazione del  siero di un prelievo postprandiale, che, invece di presentarsi limpido, risulterà torbido ed opalescente, per l'elevata presenza di lipidi, soprattutto chilomicroni.
E' ovvio come nel caso di un prelievo postprandiale sia inutile la prescrizione di moltissimi esami richiesti routinariamente e come, comunque, questi non possano essere interpretati come quelli a digiuno .

Tutto il quadro lipemico risulta alterato, le concentrazioni proteiche si modificano, si ha aumento del calcio, fosforo, urea, acido urico, si modifica la concentrazione del sodio, del potassio e degli altri elettroliti.  Per effetto della produzione di acido cloridrico nello stomaco e della sua successiva neutralizzazione, si hanno modificazioni dell'equilibrio acido base, etc..
Lo stesso richiamo di sangue all'apparato gastro intestinale nel periodo digestivo, modifica la distribuzione dei liquidi con conseguente variazione della concentrazione ematica.

Detto questo, può sembrare assurdo effettuare esami in queste condizioni.
In pratica invece, purché queste variazioni siano tenute presenti, alcuni esami possono essere egualmente richiesti, accontentandosi di un risultato approssimativo, e solo per quegli esami che meno risentono delle fluttuazioni su esposte,  o quando ci si accontenti di una fotografia di un momento che sappiamo dinamico.

Una glicemia post prandiale può essere utile a volte, confrontata con una a digiuno, per evitare l'effettuazione di una curva da carico di glucosio, se é nota la dieta ed il tempo intercorso dalla assunzione, e se ci si accontenta di una informazione più grossolana.  La diagnosi di uno stato di coma ipo o iper glicemico ovviamente richiede la conoscenza della concentrazione di glucosio nel sangue in quel momento, sia che il paziente sia a digiuno o no.
Una situazione di iperpotassiemia in un paziente uremico va riconosciuta e corretta, in qualunque situazine alimentare si trovi il paziente.
Durante un trattamento depurativo ci si può accontentare di dati poco precisi anche per  urea, creatinina, calcio e fosforo, sodio e potassio, e pochi altri.

Altri esami invece sono completamente inutili se effettuati non a digiuno, e se li si vuole conoscere, occorre programmarli rispettando quella condizione. Il colesterolo ed il quadro lipemico, ad asempio,  sono tra questi.

Nei pazienti sottoposti a trapianto renale, dove un incremento della cretininemia, anche di pochi decimi di mg%, é interpretato come segno di riduzione della funzione renale e di allarme precoce per la possibilità dell'inizio di una reazione di rigetto, occorre prestare molta cautela alla valutazione di una creatininemia effettuata d'urgenza.
A  due-quattro  ore  dall' introduzione  di  un  pasto  ricco  di  carne   cotta (bollito, bistecche, fritture, etc.), si è potuto verificare un netto, fisiologico aumento della creatininemia, che può anche raddoppiare un valore a digiuno nella norma.  Questo accade perché con la cottura,  buona parte della creatina contenuta nella carne, viene trasformata in creatinina,  rapidamente assorbita durante la digestione.

I campioni iperlipemici impediscono la determinazione accurata di molti parametri. Per l'elevato assorbimento fotometrico dell'iperlipemia molte misurazioni colorimetriche e nefelometriche vengono falsate o non sono effettuabili, a meno di ricorrere a difficoltosi e costosi procedimenti di chiarificazione del prelievo, non praticabili in un lavoro routinario.

E' molto meno nota un'altra causa di errore nella valutazione di un esame ematico legata alla presenza di siero lipemico, la cui ignoranza fa  spesso utilizzare risultati di esami che andrebbero scartati .

Lo spostamento dell'acqua serica ad opera dei lipidi per il loro mantenimento in sospensione, riduce il volume di acqua disponibile per la dissoluzione delle altre sostanze, aumentando fittiziamente la loro concentrazione.  
Ciò é particolarmente grave  per gli elettroliti in casi di ipopotassiemia o ipocalcemia, che possono non essere evidenziati per questa ragione.

Altro errore molto grave,  poco conosciuto, riguarda le metodiche RIA, con cui vengono determinati la maggior parte degli ormoni.
In alcune di queste metodiche, il lattice utilizzato  per legare il  complesso antigene-anticorpo, che dovrebbe essere separato con la centrifugazione, precipitandolo, può incorporare le lipoproteine, che conferiscono al complesso una densità insufficiente alla sua precipitazione,  fornendo falsi risultati.

Prese in considerazioni tutte queste variabili, occorre ancora decidere:

dove effettuare il prelievo;

come effettuarlo;

in quali contenitori raccoglierlo e con quali eventuali  additivi;

come e per quanto tempo é possibile conservarlo prima di inviarlo in laboratorio;

come inviarlo in laboratorio;        
       
Le modalità di effettuazione del prelievo sono sufficentemente sentite come una operazione delicata e ad essa si pone  più attenzione  che alle altre fasi preanalitiche.  Il prelievo solitamente viene affidato al medico o comunque al personale più qualificato e con maggiore esperienza.
Vale comunque la pena di illustrare brevemente i principali errori in cui si può incorrere durante questa operazione.

Tra le cause che possono alterare la composizione del campione di sangue venoso prelevato, rendendolo diverso dal sangue circolante nel paziente nel momento  immediatamente precedente il prelievo, non va trascurata la stasi venosa ottenuta con l'uso del laccio.
Per effetto della aumentata pressione venosa e per l' anossia della parete vasale, si ha fuoriuscita dal vaso di acqua e di molecole diffusibili, con aumento in esso della componente cellulare e macromolecolare, analogamente a quanto accade con la postura ortostatica rispetto alla clinostatica.
Errori molto più gravi possono verificarsi durante i prelievi effettuati non con siringa ma con capillari.

Occorre assolutamente evitare di spremere il polpastrello o il lobo dell'orecchio o, per i neonati, il calcagno, nel punto dove si é forata la cute, se il sangue non è fuoriuscito in quantità sufficente al  riempimento  dei capillari.
La spremitura inquina il sangue con liquido interstiziale extra capillare, rendendo inutilizzabili i campioni.
L'unica soluzione consiste nel forare  la cute con la lancetta in modo  deciso e nel lasciare defluire alcune gocce di sangue a perdere, prima di eseguire il prelievo.
Per meglio arteriolizzare il sangue capillare si può ricorrere ad un leggero massaggio della zona interessata, ma con delicatezza , o ad un impacco con acqua tiepida, asciugando poi la superfice prima del prelievo.

Prima di effettuare un qualsiasi prelievo, la cute deve essere detersa e sterilizzata.  Bisogna però anche attendere che il disinfettante sia evaporato prima di infiggere l'ago, per evitare che il sangue ne possa essere inquinato.   Anche piccolissime tracce di disinfettante in un delicato prelievo di emocoltura, ad esempio, possono inficiarne la validità.

Tutte le cause che possono portare alla rottura delle emazie vanno evitate (aghi di lume troppo piccolo, flusso di sangue troppo veloce, aspirazione  violenta, formazione di schiuma, umidità dei contenitori, insufficente raffreddamento della siringa  presa da una eventuale sterilizzatrice, eccessivo sbattimento del campione, etc.).

L'emolisi, oltre a  comportare il rilascio nel siero o plasma di componenti abitualmente ritenuti all'interno del globulo rosso a concentrazioni molto differenti da quelle del liquido extracellulare (potassio, magnesio, fosfati, enzimi, etc.),  libera anche l'emoglobina.
Questa proteina, come pigmento ad elevato assorbimento in alcune zone dello spettro, può interferire con la misurazione spettrofotometrica di numerose reazioni analitiche,  falsandone i risultati. L'emolisi  inoltre può alterare la velocità delle prove della coagulazione.
Lo stesso fenomeno della coagulazione che avviene nelle provette senza anticoagulanti, può, sia pure in misura modesta, indurre emolisi.
Per contro, un prelievo molto emolizzato, grazie alla liberazione di emoglobina che conferisce al siero una caratteristica colorazione rosata, può, per questa sua caratteristica, essere spesso riconosciuto dal laboratorista, mettendolo in guardia sulla attendibilità degli esami da eseguire.

Una particolare attenzione va posta ai prelievi effettuati su pazienti sottoposti a terapia infusionale.
Per avere la sicurezza di prelevare un campione di sangue non diluito o contaminato dalle sostanze infuse, occorre effettuare il prelievo da una vena del braccio controlaterale a quello della flebo.
La procedura di sconnessione dell'apparato, seguita da aspirazione e reinfusione ripetuta del sangue del paziente, effettuata con siringa, prima del prelievo per l'esame, od il semplice scarto della prima parte del sangue fuoriuscito dall'ago, non sempre possono essere considerate operazioni sufficenti a garantire un buon prelievo.
Errori di questo tipo possono essere particolarmente gravi quando, ad esempio, si voglia effettuare un prelievo per elettroliti (falsa iperpotassiemia o ipersodiemia) a seconda che l'infusione contenga potassio o sodio.  
Se il prelievo da una vena indipendente da quella utilizzata per le infusioni non é proprio possibile, é necessario lasciare passare qualche minuto dopo l'arresto al deflusso della flebo e tra le ripetute aspirazioni e reinfusioni del sangue del paziente, prima del prelievo, per consentire la ridistribuzione della sostanza infusa ed un riequilibrio del sangue circolante nel vaso .

Per chi opera in un reparto di dialisi, un problema analogo si deve affrontare per i prelievi richiesti durante o alla fine del trattamento dialitico.
Abitualmente il prelievo viene raccolto dall'apparato collegato all'ago cosiddetto "arterioso",  che drena il sangue dal paziente per inviarlo al filtro.
Il sangue in uscita può,  a volte,  essere "inquinato" da quello che rientra nel paziente dal cosiddetto ago "venoso",  dopo depurazione.
Ciò può capitare  se i due aghi sono infissi troppo vicini, o se, per problemi vascolari, o perché il flusso del sangue reinfuso é superiore alla capacità di smaltimento del vaso, si ha  induzione di ricircolo.
Nei casi sospetti, questa evenienza può essere verificata con quella manovra nota agli operatori dialitici come "prova del ricircolo", che consente di escludere tale errore.

La scelta delle siringhe, degli aghi, dei raccordi e delle provette con cui prelevare il sangue é un altro momento delicato.

Il materiale con cui questi oggetti sono fabbricati deve essere inerte, tale da non alterare il campione, né cedendo al sangue sostanze estranee che possano inquinarlo, né favorendo l'adesione di cellule alle pareti, né assorbendo sostanze dal sangue.    Deve essere anche ridotto al massimo il fenomeno della coagulazione per attivazione delle piastrine al loro contatto con le superfici del materiale di prelievo.  
Fortunatamente il progresso tecnologico, anche in questa campo, ha di molto ridotto i problemi. Esistono in commercio prodotti adatti alle più diverse esigenze. Le siringe di plastica monouso hanno quasi completamente soppiantato quelle di vetro.     Nonostante gli innumerevoli vantaggi che queste possono offrire, quali il non dovere essere lavate e sterilizzate, il non avere problemi di tenuta, l'essere costituite di materiale sufficentemente inerte, si é visto  che esse erano poco adatte al prelievo per l'equilibrio acido base, in quanto la plastica comune lascia traspirare il prelievo, consentenddo una parziale diffusione dell'ossigeno e della anidride carbonica.    Alcune ditte hanno rapidamente risolto il problema  costruendo siringhe per questo specifico esame, con un tipo diverso di plastica impermeabile ai gas, che non presentano più tale inconveniente.
Gli aghi per prelievi, per la maggior parte, oltre che ad essere costruiti con geometria il più possibile atraumatica, sono siliconati, per ridurre al massimo scambi o reazioni col sangue.  Tuttavia, quando si debbano effettuare prelievi molto delicati, quali quelli di alcuni metalli rari, può essere necessario l'uso di aghi speciali.
Anche le provette sono disponibili in materiali differenti, il più inerti possibili, sia in plastica che in vetri speciali, quando necessario pretrattati e siliconati, spesso già contenenti la quantità ottimale di sostanza anticoagulante o conservante richiesta per i più vari prelievi.

Anche per problemi di profilassi, stanno diventando sempre più diffuse le provette sotto vuoto, i vacutainer, che consentono, con l'ausilio di opportuni aghi e raccordi per esse predisposti, di fare aspirare il sangue direttamente dall'ago  all'interno della provetta, sfruttando come forza di aspirazione una depressione all'interno della provetta stessa.
Tale sistema, consentendo il prelievo di una quantità costante nota di sangue, permette di ottenere un perfetto rapporto tra sangue e la quantità di anticoagulante o preservante eventualmente presente.

Un possibile elemento inquinante, spesso misconosciuto, può essere il tappo in gomma dei vacutainer. La gomma, per il processo di vulcanizzazione che subisce, può essere molto inquinante, in particolare per alcuni metalli, come ad esempio, lo zinco, l'alluminio, il piombo,  che possono essere ceduti al sangue in quantità molto rilevante se questi viene a contatto col tappo. Il semplice capovolgimento, tre o quattro volte, di una provetta di sangue per una zinchemia, effettuata in un vacutainer, può raddoppiarne il valore.

L'uso di anticoagulanti, quando necessario, deve essere mirato, optando per quelli che meno interferiscono col tipo di esame richiesto, e nella quantità ottimale necessaria e proporzionale alla quantità di sangue prelevato.

Nel caso dell'emocromo, ad esempio, si scieglierà un chelante del calcio molto forte, come l'EDTA, il meno interferente con le reazioni citochimiche di colorazione delle cellule ematiche. L'eparina conferirebbe agli strisci colorati per la formula leucocitaria, una tinta bluastra di fondo, che renderebbe difficile il riconoscimento delle cellule.
L'EDTA, oltre ad essere un potente anticoagulante, é anche un forte inibitore enzimatco e,  per questa sua caratteristica, non é adatto quando debbano essere eseguiti studi su enzimi eritrocitari, leucocitari o piastrinici, o quando debba essere misurata anche la funzionalità piastrinica.

Per lo studio dell'emocoagulazione, occorre utilizzare un chelante del calcio meno forte dell'EDTA. Ottimale é il citrato di sodio che, pur impedendo la coagulazione, lascia nel sangue tracce di calcio ionizzato, essenziale per una buona conservazione funzionale delle piastrine, e consente una migliore standardizzazione dei tests emocoagulativi.

E' importante che, per gli esami della coagulazione, si eviti di fare avanzare troppo il fenomeno coagulativo durante la fase di aspirazione del prelievo, con una permanenza troppo lunga del sangue nell'ago e nel raccordo, al di fuori del vaso venoso, e prima del rimescolamento con l'anticoagulante nella provetta. Ciò può accadere quando si presentino difficoltà nell'aspirazione del sangue, o quando si usi un ago di calibro troppo piccolo.
L'innesco della coagulazione dovuto alla fase estrinseca, causata dal trauma della puntura, con rilascio di tromboplastina tissutale, e dalla attivazione delle piastrine per loro contatto con superfici non fisiologiche, quali ago, raccordo o siringa, parete della provetta, é un evento purtroppo inevitabile, ma che va ridotto al minimo.
Per minimizzarne le conseguenze é buona norma, oltre all'uso di aghi siliconati atraumatici di lume grande, che il sangue per studi dell'emostasi non sia il primo che esce, ma che i primi millilitri siano usati per altri esami o che comunque le prime gocce siano scartate.

Il citrato di sodio é utilizzato anche per la valutazione della VES, ma a concentrazione differente e in rapporto diverso con il sangue.

Altra caratteristica del citrato é quella di non diffondere all'interno dei globuli rossi, ma di diluirsi solo nella fase plasmatica. Per averne la concentrazione ottimale nel plasma, pari a 0,011 moli/litro,  occorrerebbe conoscere preventivamente l'ematocrito e correggere la quantità di sangue da prelevare in modo proporzionale ad esso.  Fortunatamente, una tale precisione é richiesta solo per esami particolari e, in genere, non per prelievi di routine.  Comunque,  anche questi saranno leggermente alterati, se l'ematocrito, come nel caso di molti pazienti uremici, é molto ridotto, o se il sangue, durante una emofiltrazione, é stato molto concentrato.

L'eparina é un'altro anticoagulante abitualmente usato per i prelievi di sangue. Dato il suo alto peso molecolare (6000) é indispensabile quando si voglia mantenere inalterata la osmolarità plasmatica (osmolarità, fragilità osmotica, studi di morfologia cellulare, etc.).
La concentrazione di eparina ottimale é di 0,1 mg/ml di sangue, pari a circa 16 UI/ml .

Effettuato correttamente il prelievo di sangue, occorre impedire che si alteri durante il tempo che intercorre prima dell'analisi.

Per quanto riguarda gli errori imputabili a questa fase, ci si può aspettare che il progresso tecnologico venga, in un prossimo futuro, ad annullarli, eliminando lo spazio temporale tra prelievo ed esame e quello fisico tra reparto e laboratorio.
E' suggestivo infatti, pensare che diverrà possibile, anziché inviare il prelievo in laboratorio,  "portare" il laboratorio all'interno del paziente o al suo capezzale.
Per alcuni esami, ciò potrebbe già  essere possibile, si pensi alla introduzione di micro elettrodi nel torrente circolatorio del paziente o sulla sua cute, per la monitorizzazione continua di alcuni parametri (sodio, potassio, etc.). Altri esami possono essere eseguiti al letto del paziente, su una goccia di sangue fatto cadere su cartine impregnate di reattivo ed esaminate dopo pochi secondi (glucosio, azotemia, colesterolo, emoglobina, enzimi, etc.). Molti strumenti di laboratorio, in parecchie unità intensive,  vengono già ora dislocati nell'ambito logistico dove i pazienti sono ricoverati (centrifughe per ematocriti, apparecchi per l'analisi dell'equilibrio acido base,  analizzatori per elettroliti, etc.) e sono gestiti direttamente dagli infermieri del reparto.
Per la maggior parte degli esami attualmente richiesti, tuttavia, questo approccio non é ancora attuabile e, pertanto, é necessario ricorrere a tutti quegli accorgimenti che consentono di evitare, o almeno di limitare, alterazioni ai campioni biologici prima dell'analisi.

Se il prelievo non può essere immediatamente analizzato, deve essere preparato e conservato in modo da non alterare la sua composizione, per tutto il tempo di attesa necessario.

La reciproca diffusione di sostanze tra il globulo rosso e il plasma, rappresenta uno dei fattori che possono minacciare l'attendibilita di alcuni esami, in maniera ancora maggiore dell'emolisi. La diffusione, pur producendo alcuni inconvenienti analoghi, sfugge più facilmente dell'emolisi alla osservazione del laboratorista, per il normale aspetto mantenuto dal plasma.
Non bisogna dimenticare che i globuli rossi sono dei contenitori biologici "vivi", dotati di un sistema di "pompe" enzimatiche, che funzionano al meglio solo a condizione venga conservata l'omeostasi propria dell'individuo vivente.    Nell'ambito di un ambiente che rispetti questa fisiologicità, il globulo rosso é in grado di erogare un complesso lavoro energetico,  ATP-dipendente,  grazie al quale può essere mantenuto, per alcune sostanze,  in eccezione alle leggi diffusive,   un differente livello di concentrazione fra il microambiente intraeritrocitario e la soluzione di plasma nella quale il globulo rosso si muove.     Allorché il sangue, allontanato dal suo ambiente naturale, é trasferito in una provetta, molti dei suoi parametri subiscono profonde modifiche:   l'equilibrio delle fonti energetiche si altera drasticamente, il turn-over degli elementi figurati subisce un arresto,  la temperatura  si abbassa.   I globuli rossi continuano a vivere, fino ad esaurimento della riserva energetica, in un ambiente sempre più alterato nelle sue specifiche fisico chimiche, dall'accumulo di metaboliti non smaltiti.
Tutte queste alterazioni fanno sì che il lavoro di pompa, che permetteva, ad esempio, al potassio di rimanere segregato all'interno del globulo rosso ad una concentrazione circa 20-30 volte maggiore di quella del liquido extracellulare, venga rallentato o bloccato, e che quindi lo ione potassio diffonda fuori dalle cellule, aumentandone la concentrazione serica.
Questo evento incide sull'errore in modo più o meno grave a secondo delle condizioni in cui il prelievo é stato mantenuto .  
La velocità di diffusione è correlata con il grado di compromissione della vitalità del globulo rosso.  
La temperatura di frigorifero, ad esempio, può paralizzare completamente le "pompe " eritrocitarie, massimizzando la perdita di potassio.
 
Di qui la necessità di verificare che il prelievo non sia stato refrigerato.

L'entità della diffusione é anche legata al tempo intercorso tra il prelievo e la separazione del siero o plasma dalla parte corpuscolata :
importante dunque effettuare quest'ultima il più presto possibile.

A parità di tempo, inoltre, l'entità della diffusione è grosso modo proporzionale alla superfice di contatto tra i globuli rossi e plasma.

E' preferibile  lasciare sedimentare la provetta di sangue eparinato in posizione verticale, in modo che le emazie, depositandosi sul fondo, offrano una superfice di contatto con il plasma  ridotta, pari a quella di un disco del calibro della provetta, interessando alla diffusione solo un sottile strato di globuli rossi e proteggendo da essa tutti gli strati sottostanti.   
Una provetta continuamente rimescolata o lasciata coricata, presenta ovviamente un'area di contatto molto maggiore, e quindi  ne consente la conservazione per un tempo minore.

Sotto questo aspetto, quindi, la stessa scelta tra una provetta eparinata ed una no, é nettamente a favore della prima, perché il coagulo, quando anche ben formato, presenta una superfice di contatto con il siero maggiore di quella che i globuli rossi sedimentati presentano con il plasma.
Inoltre, un prelievo non eparinato, richiede generalmente la compressione del coagulo ed il suo distacco meccanico dalle pareti della provetta, al momento della centrifugazione, per disporre rapidamente del siero sul quale effettuare il dosaggio, e con questa operazione si rischia una parziale emolisi.

Il sangue, come del resto tutti i tessuti, risulta essere un sofisticato laboratorio chimico-biologico, ove moltissime molecole reagiscono tra loro trasformandosi e consumandosi.
La concentrazione ematica di queste, é il frutto dell'equilibrio tra il loro tasso di produzione o la velocità di raccolta nel sangue  e  la loro ridistribuzione o eliminazione per mezzo dei vari emuntori o il loro catabolismo.
La concentrazione abbastanza stabile di molte molecole, é mantenuta, al raggiungimento di questo equilibrio, solo nel sangue circolante .  
Quando il sangue é allontanato dal torrente circolatorio, essa si altera, portando ad una riduzione od a un aumento di livello, a seconda prevalgano nella provetta le reazioni di consumo-inattivazione, oppure di produzione.

Il livello dell'ammoniemia, ad esempio, cresce nel tempo, in quanto, nella provetta, continua quel fisiologico processo di desaminazione delle proteine che conduce alla produzione di molecole di ammonio.  
Tali molecole, non avendo più la possibilità di essere convogliate nel fegato o nei reni per una loro neutralizzazione o eliminazione, ne aumentano la loro concentrazione plasmatica.

Il glucosio, viceversa, diminuisce nel sangue in vitro, per fenomeni di glicolisi, che lo trasformano in vari prodotti di ossidazione, tra i quali l'acido gluconico.    Mancando in vitro la disponibilità di rifornimento di glucosio per mobilizzo, ad esempio, dal glucogeno tissutale, avremo livelli di glicemia che caleranno col passare del tempo.

Si é visto che a temperatura ambiente, in una provetta senza conservanti, la glicemia decade di circa il 5% all'ora.

Per ogni esame é molto importante conoscere quale sia la velocità di alterazione di quel componente, ed operare in modo che tale alterazione non superi il livello di affidabilità clinica  richiesto.

Nel caso del glucosio, quando non sia possibile inviare immediatamente i prelievi dal reparto al laboratorio (ad esempio per le glicemie di una curva da carico, oppure quando scarseggi il personale per il trasporto), occorre operare tenendo presenti alcune considerazioni.
L'attività glicolitica é dovuta all'azione di enzimi presenti nel sangue, molti dei quali situati sulla parete dei globuli rossi.
L'allontanamento della parte corpuscolata dal siero può, già da solo, rallentare il consumo di glucosio.   
Al contrario di quanto suggerito a proposito della diffusione del potassio dall'interno delle emazie al siero, ove era necessario proteggere la funzione delle pompe enzimatiche,   nel caso di un prelievo per la glicemia, per favorirne la stabilità, occorre paralizzare i meccanismi enzimatici che incrementano il consumo della molecola che vogliamo dosare.
Conservando il prelievo a bassa temperatura si rallentano o si bloccano tutte le attività enzimatiche, che hanno a 37 °C la loro temperatura ideale, compresa quella degli enzimi glicolitici, e ciò permette di prolungare di parecchie ore la integrità del prelievo per la glicemia.     Meglio ancora se il prelievo é costituito dal solo siero e non dal sangue in toto.

E' possibile inibire l'attività enzimatica, anche con l'aggiunta di sostanze che la paralizzino.

Tra queste, una delle più usate  é il fluoruro di sodio, che può essere addizionato al prelievo per la glicemia, consentendone una lunga conservazione.   
Tali sostanze debbono essere usate con cautela e soltanto quando sullo stesso prelievo non debbano essere effettuati altri esami per i quali possano essere controindicate.

Tali inibitori non si potranno ad esempio usare se, oltre al glucosio, é richiesto il potassio, in quanto metterebbero fuori uso  anche le "pompe" ioniche, favorendo la diffusione nel siero del potassio intraeritrocitario.

Il fluoruro di sodio non può essere usato, ovviamente, per il dosaggio del sodio, in quanto, oltre ad inibire la "pompa" del sodio, l'aggiunta di un sale sodico aumenterebbe direttamente la concentrazione ematica di tale ione.

Infine, tali inibitori, non possono essere usati nelle determinazioni di attività enzimatiche (transaminasi, fosfatasi, etc.), che risulterebbero sottostimate durante la procedura di indagine laboratoristica.

Oltre a tutte queste riserve, l'uso degli inibitori enzimatici é ancora controindicato in talune metodologie di determinazioni della glicemia stessa.
In laboratorio, la glicemia può essere determinata fondamentalmente con due sistemi. Uno, più usato in passato, utilizza per la reazione di riconoscimento e di misura del glucosio una serie di reattivi prettamente chimici, che trasformano la molecola del glucosio in un complesso di reazione colorato,  quantizzabile fotometricamente.
Il fluoruro di sodio non esercita alcun disturbo su tale sistema di reazioni.
Il secondo metodo di determinazione, ora il più diffuso, pur conducendo anch'esso alla formazione di un complesso facilmente quantizzabile in laboratorio con i comuni strumenti di misura, utilizza reattivi che sono costituiti in parte da enzimi, e che é indispensabile non vengano paralizzati, pena dosaggi sottostimati.   
Con questo sistema di dosaggio  l'uso di fluoruro di sodio o simili é controindicato.

Controindicazioni analoghe esistono per numerose altre determinazioni che, pur non riguardando molecole enzimatiche, richiedono l'uso di enzimi esogeni nei reattivi utilizzati per quantizzarle.

Da quanto visto, ne consegue la necessità, per quanto riguarda la scelta del tipo di anticoagulante o additivo da utilizzare, e le modalità  di una eventuale conservazione, di attenersi scrupolosamente alle istruzioni dettate da ciascun laboratorio ove i prelievi dovranno afferire.

Va ricordato comunque, come siano moltissime le determinazioni che subiscono alterazioni per tempi relativamente brevi di conservazione.

E' noto come sia delicato il prelievo per l'equilibrio acido base.
Oltre a tutte le attenzioni poste a non permettere il contatto con l'atmosfera esterna, dalla quale e verso la quale potrebbero diffondere i gas che si vogliono titolare, occorre che la determinazione venga effettuata entro pochissimo tempo.
La prosecuzione delle trasformazioni metaboliche in atto nel prelievo, può portare alla formazione di cataboliti acidi che alterano molto in fretta il pH .
La conservazione del prelievo in acqua e ghiaccio aumenta di poco il tempo di conservazione accettabile . Ormai, in tutti i laboratori  di una certa dimensione, tale esame é affrontato come esame d'urgenza e pertanto esso viene eseguito immediatamente, appena il prelievo giunge in laboratorio, in apparecchiature che vengono mantenute tarate 24 ore su 24.
In reparto, la siringa col prelievo per l'equilibrio acido base, può essere conservata, in acqua e ghiaccio, per un massimo di una-due ore, e già così i risultati potrebbero non essere del tutto attendibili, soprattutto se il prelievo non e stato effettuato o mantenuto in perfetta anareobiosi.

Altri esami particolarmente delicati sono quelli della coagulazione .
Anche per essi il tempo intercorso dal momento del prelievo a quello dell'esame non può superare le due ore.

Dopo 3-4 ore dal prelievo, il sangue EDTA del prelievo per emocromo non é più idoneo allo studio morfologico, perché le cellule vengono danneggiate, sino a diventare irriconoscibili dopo 24 ore.

Estremamente delicati la maggior  parte degli ormoni e molti enzimi.
Per alcuni é necessario effettuare il prelievo in provette conservate in frigorifero, e mantenerli in ghiaccio fondente  per il tempo necessario all'invio al laboratorio, che deve essere immediato.
Qualora il prelievo fosse richiesto in orario di chiusura del laboratorio, occorrerà provvedere alla immediata centrifugazione a freddo del prelievo, per separarne il siero che andrà conservato, a seconda dei casi, in frigorifero a 2-4°C o in congelatore a -20°C.

Il prelievo per la ricerca delle crioglobuline deve essere effettuato e mantenuto a 37°C, per impedire che con il raffreddamento precipitino le crioglobuline, prima che il siero sia stato separato dal coagulo con la parte corpuscolata con la centrifugazione.  Se non si dispone di un termostato, il prelievo andrà portato subito in laboratorio, stretto nella mano, per rallentarne il raffreddamento.  Anche per la determinazione delle immunoglobuline e degli immunocomplessi circolanti può essere utile una analoga modalità di prelievo e trasporto.

Esiste anche un'altra possibile causa di errore preanalitico dovuta alla accellerazione della denaturazione di alcune sostanze fotosensibili, dovuta alla esposizione della luce, sia solare che artificiale.

La bilirubina é una di queste sostanze, il cui prelievo di sangue occorre coservare al riparo della luce.  
Il tempo di emivita della bilirubina, in un prelievo di siero esposto alla luce solare diretta, é inferiore ai venti minuti.  
Alla luce diffusa,  dopo sole sei ore,  può già aversi una riduzione del 30%.  




MODALITA'  DI  RACCOLTA  DELLE  URINE
E  LORO  CONSERVAZIONE
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Vi sono fondamentalmente due tipi di raccolta di campioni di urine:

1) quello di una  minzione occasionale o parte di essa

2) quello di tutta l'urina raccolta in un arco di tempo noto o di una sua aliquota.

Nel primo caso, non conoscendo il tempo nel quale l'urina si è formata, il campione viene solitamente utilizzato per informazioni  limitate all'aspetto qualitativo, in genere con la segnalazione di presenza o assenza di una sostanza, o al più con indicazioni semiquantitative della sua concentrazione, espresse solitamente con uno o più segni positivi.
Nel secondo caso, essendo noto il periodo di formazione dell'urina ed il volume di queste, possono essere dosate in modo quantitativo le sostanze interessate, ottenendo informazioni sia sulla concentrazione che sulla escrezione per il lasso di tempo voluto. Le informazioni così ottenute sono sicuramente maggiori e più complete, ma per averle é richiesta la collaborazione del paziente ed un maggior lavoro organizzativo per il personale ospedaliero.

Il cosiddetto "esame completo delle urine" e la "urocoltura"  possono essere eseguiti sul primo tipo di raccolta.
Su tali campioni di urina possono essere effettuate indagini:

           fisiche:                       aspetto, colore, odore, densità;


           chimiche:                   pH, proteine, glucosio, chetoni, bilirubina, emoglobina, nitriti, urobilinogeno;


          microscopiche:            emazie, leucociti, cellule, cilindri, cristalli, batteri, funghi, parassiti.


Sul campione per la urocoltura si  può effettuare un esame:

          microbiologico con:    conteggio carica batterica,

                                                  identificazione del germe,
                                                  eventuale antibiogramma.

D'abitudine é sufficente raccogliere in un recipiente pulito, sterile per la "urocoltura", la parte centrale della prima minzione del mattino, dopo una notte tranquilla, previo un'accurata pulizia dei genitali esterni.
Il giorno precedente l'esame non debbono essere eseguiti esercizi fisici violenti e prolungati, e l'alimentazione deve essere quella abituale.
E' bene vengano segnalate l'eventuale concomitanza di processi infettivi e l'assunzione di farmaci.  L'"urocoltura", dovrebbe essere richiesta prima della somministrazione di antibiotici o disinfettanti chemioterapici, o comunque, salvo necessità, previa sospensione di questi per alcuni giorni.
La raccolta delle prime urine del mattino è preferita fondamentalmente per tre ragioni:
1)  Le urine formatesi durante la notte sono solitamente quelle più acide e  più concentrate, e ciò consente una più facile evidenziazione degli elementi ricercati.
2)  Queste urine si sono formate durante il sonno, in paziente a riposo, e pertanto rappresentano la situazione di solito meglio  standardizzabile e confrontabile.
3)  Il primo mattino è il momento della giornata che meglio si presta, dal punto di vista organizzativo, soprattutto in un reparto di degenza, alla raccolta dei campioni da inviare in laboratorio per l'esame.   Inoltre, col paziente a digiuno, é possibile l'effettuazione di contemporanei eventuali prelievi di sangue.      L'arrivo  dei campioni nella prima parte della mattinata  consente al laboratorio di smaltire gli esami in modo più razionale e con maggiore tempestività.

In alcuni casi, tuttavia, le urine del mattino possono non essere le più adatte per risolvere i quesiti diagnostici  proposti.
Nel caso di un paziente con sospetta proteinuria ortostatica, ad esempio, un "esame delle urine" effettuato dopo riposo può non evidenziare alcun dato anomalo.   In questo caso é necessario fare raccogliere le urine dopo una moderata attività fisica o comunque dopo un periodo di permanenza in posizione eretta, per evidenziare un dato di proteinuria positivo.    Meglio far effettuare, in questo caso, due esami delle urine,  uno del primo mattino, per fotografare la situazione a riposo, ed uno alla sera o nel corso della giornata per verificare eventuali variazioni patologiche in ortostatismo.

Alcuni campioni di urine raccolti di primo mattino, peraltro, possono non rappresentare la condizione di clinostatismo sperata.
Molti bambini, ma anche alcuni adulti, hanno l'abitudine di dormire rannicchiati, in posizione fetale o comunque in posizione tale da sottoporre, in caso di rene ptosico, a stiramento l'arteria renale o a compressione i reni.
Prima di considerare un esame delle urine che presenti modeste anomalie, soprattutto a livello della proteinuria ma in qualche caso anche di una ematuria o di una cilindruria, come in condizioni basali di riposo, é bene accertarsi di questa eventualità, come pure occorre appurare che durante la notte il sonno non sia stato particolarmente agitato.   In caso positivo può essere utile fare svuotare la vescica al paziente e farlo sdraiare su un lettino, sveglio e in posizione supina per un paio d'ore, il tempo di formare una quantità d'urina in vescica sufficente ad una nuova minzione da analizzare, questa sicuramente formata nella condizione desiderata.

Anche la scelta di eliminare il primo getto di urina, per prelevare quello centrale, valida per ottenere un campione non inquinato da batteri, cellule o residui  non allontanati dalla toeletta, e di questa considerata solitamente come complementare,  dovrebbe essere limitata ad accertamenti della situazione renale o vescicale.   Se si sospetti una infezione od un sanguinamento uretrale o prostatico,  l'allontanamento del primo getto può  limitare il valore dell'analisi, impedendone o riducendone il riscontro.  Meglio in questi casi la raccolta separata di due getti, quello iniziale e quello centrale, che consente, confrontando i due referti, di localizzare meglio la sede del possibile evento patologico.

Tra le attenzioni che si devono porre per ottenere una corretta raccolta delle urine, la pulizia dei genitali é ovviamente fondamentale.    Per la sua importanza, quando possibile, dovrebbe essere eseguita nelle condizioni più favorevoli.     Specialmente per la donna ciò può avvenire meglio a casa propria che nei servizi ospedalieri o ambulatoriali.   I detergenti abitualmente usati per la toeletta intima, se finiscono anche solo in tracce nelle urine,  possono esercitare un'azione battericida e di inibizione alla crescita batterica durante l'esecuzione dell'"urocultura", o interferire con l'esame chimico dell'"esame delle urine" o favorire la lisi degli elementi cellulari ricercati nel "sedimento".  Tali detergenti dovrebbero quindi essere evitati o almeno accuratamente allontanati con un abbondante  risciacquo.

Una buona toelatta ed una corretta raccolta delle urine sono in genere sufficenti ad assicurare sterilità al prelievo per "urocoltura".   
Il cateterismo, per i rischi che comporta di risalita di infezioni batteriche e per i trami che può procurare, va riservato a casi eccezionali.  Meglio, anche in acuni di questi, preferire piuttosto la puntura sovrapubica.
 
Nelle donne, l'esame delle urine è bene venga richiesto lontano dal periodo mestruale.   Qualora esistano delle perdite vaginali, o se ne sospetti l'esistenza, sono in genere provvedimenti  efficaci il tamponamento vaginale interno e l'eliminazione della prima parte del mitto.

Per la valutazione della batteriuria è necessario che il campione inviato ad esaminare sia rimasto in vescica non meno di tre-quattro ore, per permettere ai batteri ricercati una moltiplicazione sufficente alla loro evidenziazione.    La crescita batterica nelle urine, solitamente ottimo terreno di cultura, è esponenziale nel tempo.     E' evidente come a parità di condizione patologica, una permanenza delle urine in vescica per tutta la notte fornirà un dato di carica batterica molto maggiore che se la permanenza é ridotta a una o due ore.
E' facile cadere in questo errore quando l'"urocoltura" venga richiesta in concomitanza ad una raccolta delle urine delle 24 h.     Spesso, invece di fare prelevare sterilmente al paziente, per l'esame culturale, una piccola aliquota della prima minzione del mattino, trasferendo il restante nella arbarella delle urine delle 24 h , segnando su questa il volume sottratto,  si preferisce per comodità attendere la fine della raccolta delle urine delle 24 h, e fare raccogliere la minzione successiva per la "urocultura".     In tal caso, il tempo di permanenza in vescica di quest'ultima raccolta può non essere sufficente.  
Situazioni con inconvenienti analoghi possono presentarsi per pazienti con pollachiuria o poliuria, che non riescono a trattenere l'urina in vescica per un tampo sufficente, o per pazienti con cateteri a permanenza.
In questi casi occorre segnalare al laboratorio tali situazioni che andranno tenute presenti al momento dell'interpretazione del reperto.

I campioni di urina prelevati per questi esami é bene siano inviati al laboratorio d'analisi il più presto possibile per evitarne l'alterazione.
Quando questo non sia possibile é consigliabile per l'"urocoltura" la conservazione in frigorifero a 4°C fino al momento dell'esame.
Con tale accorgimento viene bloccata la crescita dei batteri patogeni eventualmente presenti, al livello del momento dell'emissione, e si impedisce la proliferazione di eventuali batteri contaminanti.

Per l'"esame delle urine", a volte, tale accorgimento può presentare degli inconvenienti.   
Esso é valido per impedire la pullulazione batterica ed a prolungare la conservazione degli elementi cellulari.    
Alcuni di questi, come i globuli bianchi, a temperatura ambiente, in condizioni di bassa osmolarità, elevato pH ed in presenza di  batteri, possono ridursi anche del 90% in poche ore.
Per contro, con l'abbassamento della temperatura, precipitano molti sali che a 37°C erano mantenuti in soluzione, in particolare urati e fosfati, in modo spesso difficilmente reversibile al momento dell'analisi.
La precipitazione di questi sali, massiva  in caso di urine molto concentrate, oltre a variare alcune caratterisiche fisico chimiche dell'urina, rende difficoltosa la ricerca  microscopica, nel "sedimento", degli elementi di maggior interesse.
Risulta quindi problematica la scelta di come conservare le urine, e pertanto, ogni volta che se ne abbia la possibilità, é bene fare in modo di programmare l'esame poco prima del suo invio in laboratorio.

Per la determinazione quantitativa della maggior parte delle sostanze eliminate con le urine, é richiesta la raccolta di queste, in modo completo, in un arco di tempo noto.
La scelta, non facile, é quella tra un tempo breve, solitamente tra i 20 minuti e le 6 ore, ed uno lungo, solitamente 24 ore.
Vediamone i vantaggi e gli inconvenienti.

Il tempo breve consente il dosaggio di sostanze esogene, somministrate, ad esempio, per via endovenosa, ove sia necessario raggiungere e mantenere costante una certa concentrazione ematica della sostanza da determinare, per tutto il tempo della raccolta.
Essendo difficile mantenere la condizione ottimale voluta per tempi lunghi, si preferisce in questi casi raccolte di urine di poche decine di minuti, il minimo di tempo necessario al paziente di erogare una nuova minzione.
Le clearances del tiosolfato, dell'inulina, del PAI, del diodrast, etc., utilizzate per la valutazione delle varie funzioni renali, debbono sottostare a queste regole, e normalmente si effettuano raccogliendo le urine per periodi di tempo di 20 minuti.
Risulta evidente, quando si voglia evitare l'uso del cateterismo, per i rischi di infezione che possono derivarne, come sia problematico indurre un individuo ad urinare a comando, e a poca distanza dalla volta precedente.   L'intensa idratazione a cui solitamente si sottopone il paziente  in questi casi, per favorirne la diuresi, non sempre sortisce i risultati voluti, soprattutto in pazienti emotivi.   Problemi di ristagno urinario, inoltre,  possono  non rendere sovrapponibile il volume misurato dell'urina emessa, con quello dell'urina effettivamente  formata nel lasso di tempo preso in considerazione, inducendo in errori tanto più gravi quanto minore é la diuresi.

Tempi brevi di raccolta consentono il mantenimento dell'urina nella vescica sino alla fine del tempo voluto, riducendo i problemi legati alla conservazione nel tempo dell'urina al di fuori di essa.   Alcune sostanze   possono alterarsi nell'ambiente esterno, o per l'abbassamento della temperatura, o per il contatto con l'aria, o per effetto della luce, o per la possibile contaminazione batterica.
Per queste ragioni  può essere, in certi casi, preferibile una raccolta delle urine di tre ore, in vescica, ad esempio per ammoniuria, acidità titolabile, bicarbonaturia, etc..

I problemi di alterazione nel tempo delle sostanze da analizzare, già esposti nel capitolo sui prelievi ematici, si ripropongono con maggiore evidenza  quando il campione é l'urina.
Anche per l'urina, minore é il tempo trascorso tra la sua formazione ed il suo esame, migliore é la attendibilità del risultato.
Molte sostanze non sono in grado di conservarsi per lunghi periodi di tempo  nell'ambiente urinario, ed impongono tempi di raccolta ridotti.
Certi ormoni, numerosi enzimi ed alcune proteine, vengono esaminati su campioni di  urina di poche ore.
Questa scelta, spesso obbligata, si scontra con un inconveniente di un certo peso.

La eliminazione urinaria della maggior parte delle sostanze, subisce delle variazioni piuttosto ampie nell'arco della giornata, seguendo dei ritmi circadiani, influenzati dall'attività fisica, dall'alimentazione, etc., che si riflettono sulle urine, per alcune sostanze, in maniera ancora maggiore di quanto già segnalato per  la concentrazione ematica.

L'apporto alimentare é il principale fattore di variabilità nell'escrezione urnaria.
Durante il periodo seguente l'assimilazione intestinale, il sangue concentratosi delle sostanze assorbite, tende ad eliminare l'eccesso di molte di esse attraverso l'emuntorio renale.
Le urine formatesi in questo periodo, avranno una composizione ben diversa da quelle dello stesso individuo  a digiuno.
Inoltre, nel soggetto normale, le urine si formano acide durante la notte, per la ridotta ventilazione polmonare. La fisiologica iperventilazione che segue i primi momenti del risveglio, per quel fenomeno noto come "montata alcalina", le rende invece basiche.

Proprio per tutte queste possibili differenze, un campione di urina di un tempo breve non può rispecchiare la reale escrezione urinaria del paziente e fornirà solo delle fotografie parziali di questo elemento.

Una informazione più completa si può ottenere esaminando un campione di tutte le urine raccolte durante la giornata, le cosiddette "urine delle 24 ore".
E' questo il tipo di raccolta più noto in molti reparti di degenza, in quanto, quando effettuato anche senza richieste di esami sulle urine, consente di conoscerne il volume giornaliero, elemento utile per regolare la somministrazione di liquidi.
La raccolta corretta e completa delle urine, nei reparti ospedalieri, coprendendo parecchie minzioni in turni di servizio differenti, sfugge più facilmente al controllo del personale di assistenza, e viene spesso affidata alla responsabilità del paziente, cosa peraltro obbligata in caso di raccolta ambulatoriale.
E' quindi indispensabile che al paziente od ai parenti vengano fornite istruzioni precise sulla modalità di raccolta, e che venga spesso effettuata  verifica  sul loro rispetto.
In molti ambulatori o reparti viene consegnato ad ogni paziente un foglietto con le istruzioni a cui attenersi.
A titolo di esempio, viene qui riportato uno stralcio di quello utilizzato, per gli esami tradizionali più comuni, negli ambulatori nefrologici del nostro ospedale.


"MODALITA' RACCOLTA URINE

ESAME URINE FRESCHE CON SEDIMENTO O UROCOLTURA.
Quantità urina richiesta 30-100 ml.
Dopo meticolosa pulizia dei genitali, raccogliere in un recipiente perfettamente pulito, sterile per la urocoltura, la parte centrale di una minzione, preferibilmente quella del mattino appena alzati, il giorno stesso dell'appuntamento in laboratorio.
Se contemporaneamente é richiesta la raccolta delle urine delle 24 h, ricordarsi di segnalare che al volume delle urine delle 24 h mancheranno le urine prelevate per tali esami (indicarne la quantità).

RACCOLTA URINA DELLE 24 h.
Alle ore 7 del mattino precedente l'appuntamento con l'ambulatorio, urinare svuotando completamente la vescica e buttare via tali urine.
Da quel momento in poi, fino alle ore 7 del giorno successivo, raccogliere tutte le urine emesse, comprese quelle delle ore 7 in punto del mattino dell'appuntamento e trasferirle in un capace recipiente perfettamente pulito.
Tale recipiente deve essere tenuto per tutto il tempo di 24 h della raccolta in un ambiente fresco. Terminata la raccolta le urine mescolate tutte insieme devono essere misurate con precisione in un recipiente graduato.
Per non portare in ambulatorio tutte le urine delle 24 h é possibile prelevarne dei campioni da portare, a secondo degli esami richiesti, ma solo dopo avere ben rimescolato le urine nel loro contenitore, e solo dopo averne misurato il volume complessivo.
Operare come segue:"

seguono le istruzioni sulle quantità  e sui campioni richiesti e su come vadano contrassegnati.

Uno degli errori più comuni nella raccolta delle urine delle 24 h, consiste nel conservare la prima minzione, invece di eliminarla, o di conservare la prima e buttare l'ultima.   Nel primo caso, se il paziente non ha urinato di notte, e si é coricato poniamo alle 22, l'urina del primo mattino può indurre ad un errore sulla misurazione della diuresi di quasi il 40%, trasformando una raccolta delle 24 h in una delle 33 h.

Altro errore commesso spesso dal paziente, é quello di perdere una o più minzioni di urina nell'arco delle 24 h. L'occasione più frequente si presenta quando ci si dimentichi di raccogliere l'urina prima della evacuazione intestinale.

La raccolta delle urine va fatta in recipiente pulito, conservato nel luogo più fresco della camera, lontano quindi dai termosifoni d'inverno e dal sole d'estate.  
Il mantenimento al fresco dell'urina é suggerito dalla necessità di limitare la  pullulazione della contaminazione batterica, praticamente inevitabile in questo tipo di raccolta.   
Molti batteri, (ad esempio:  proteus, escherichie, qualche ceppo di clepsiella, etc.), producono un enzima, l'ureasi, capace di trasformare l'urea in carbonato di ammonio.
La moltiplicazione di questi batteri nelle urine può ridurre drasticamente il valore dell'azoturia, fornendo, ad esempio, indicazione di una ridotta clearance dell'urea, e quindi ridotta funzione renale, in un soggetto perfettamente sano.
  
L' alcalinizzazione dell'urina dovuta alla formazione di sali di ammonio, oltre a stravolgere il pH dell'urina, favorisce la precipitazione dei fosfati e del calcio.

Molti batteri, fermentando nelle urine, distruggono le sostanze proteiche in esse contenute.

La bassa temperatura riduce inoltre la denaturazione di molte sostanze, eliminate, ricordiamo, almeno per la prima minzione della raccolta, 24 ore prima dell'invio al laboratorio per l'analisi.
Nelle corsie degli ospedali meglio attrezzati,  celle refrigerate o capaci frigoriferi sono adibiti alla conservazione dei contenitori delle urine dei ricoverati, che andranno da qui prelevati ed ivi riposti ad ogni minzione.

In alternativa o, meglio, in aggiunta alla refrigerazione, possono essere aggiunte sostanze antifermentative o conservanti all'arbarella, prima dell'inizio della raccolta.
Queste sostanze sono diverse a seconda dell'esame che si vuole fare effettuare, ed anche per queste sostanze vale quanto detto a proposito dei prelievi ematici.
Tra gli antifermentativi o batteriostatici, i più usati sono il timolo, in cristalli o dissolto in isopropanolo, la sodio azide, l'ibitane, il mertiolato, il toluolo e l'acido borico.
Altri prodotti debbono essere aggiunti quando si voglia preservare certe sostanze dalla precipitazione, poi difficilmente reversibile.
 
Acido cloridrico, in quantità sufficente a mantenere il pH dell'urina al di sotto di 2, va aggiunto al contenitore per l'esame dell'ossaluria,  ed é anche utile per la determinazione della calciuria, della fosfaturia e della magnesiuria.

Acido cloridrico, in quantità sufficente a mantenere l'urina ad un  pH  compreso tra 3 e 5, é indispensabile per  la determinazione dell'acido vanilmandelico, dell'acido 5-Idrossindolacetico e delle catecolamine.

Al contrario, per la determinazione dell'uricuria, é utile che l'urina sia mantenuta ad un pH moderatamente alcalino ed é pertanto consigliabile l'aggiunta di idrossido di sodio o carbonato di litio.

Analoga alcalinizzazione é richiesta per la valutazione delle porfirine.

In certi casi, la necessità di mantenere l'urina a un determinato pH si spinge sino al periodo della sua conservazione in vescica.
Per la determinazione della beta2microglobulina, é necessario che l'urina sia alcalina fin dalla sua formazione. Per raggiungere questo scopo, si fa ingerire al paziente, prima della raccolta, una quantità idonea di bicarbonato o citrato di sodio o altro alcalinizzante, per via orale.

Anche la luce può alterare alcuni componenti urinari, per degradazione fotolitica. L'urobilinogeno, l'uroporfirina, l'acido vanilmandelico, il beta carotene, alcune vitamine (A-B6-B12), etc., possono essere determinati correttamente solo su urine mantenute al buio, in contenitori scuri.

Quando non si voglia inviare tutta l'urina raccolta in laboratorio, é possibile prelevarne un campione, in quantità sufficente all'esame rihiesto, a condizione che questo sia rappresentativo del tutto, con indicazione della quantità totale.

Prima di prelevare il campione, tutta l'urina deve essere ben rimescolata in un unico capace contenitore.   Se le arbarelle sono più di una, e non si disponga di un contenitore capace di raccogliere tutte insieme le urine, si può prelevare da ciacuna arbarella, ben rimecolata, una alquota di urina proporzionale al volume di urina contenuta e unire questi campioni.
A questo scopo, se le arbarelle sono di diametro simile, é sufficente immergere verticalmente una pipetta di vetro sino a toccare il fondo, attendere che si sia completamente riempita sino allo stesso livello dell'urina circostante, tappare col dito il foro superiore, e traferire il contenuto in una provetta o in un bicchierino.   L'altezza dell'urina nella pipetta sarà proporzionale al volume contenuto nelle arbarelle da cui l'urina viene prelevata.
Attenzione durante questa operazione, quando si usi la stessa pipetta utilizzata per il rimescolamento, ad accertarsi del suo completo svuotamento prima di riintrodurla per il prelievo, per non rischiare di mescolare le urine all'esterno della pipetta e poi utilizzare l'urina penetratavi prima del rimescolamento.















                                        


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