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Due piedi sull'acceleratore

Le stanze dei ricordi - Racconti nefrologici > Livello 11



A 200 all’ora sull’autostrada, con due piedi sull’acceleratore


Sull’autostrada Torino-Savona (o un’altra, fa lo stesso), nella seconda metà degli anni ‘70

Non fui tra i protagonisti di questo curioso aneddoto, in realtà l’ho solo sentito narrare da uno dei diretti interessati. Ma, dato che la fonte è assolutamente degna di fede, a questa storia io ci credo, e ci crederete di certo anche voi, in specie se in qualche momento della vostra vita vi è toccato frequentare il nostro “Grande Capo” di quei tempi.
Racconterò quindi la storia come se fossi stato uno dei due assistenti, quello seduto sul sedile posteriore dell’auto, in viaggio verso la sede di un qualche convegno o congresso. Sui sedili anteriori erano seduti il dottor S., al volante, ed il Grande capo, al suo fianco. L’auto, un macchinone di grossa cilindrata, era quella del Grande Capo che, sentendosi un po’ stanco ed affaticato, aveva chiesto al dottor S. di mettersi lui alla guida.
Si trattava di una di quelle grosse automobili che, all’interno, avevano (e forse hanno ancora oggi) il fondo perfettamente piatto, cioè a dire non attraversato in senso longitudinale dal rigonfiamento determinato dalla presenza dell’albero di trasmissione: nel leggere, tenete presente questo particolare, che rappresenta la “conditio sine qua non” perché il fatto potesse effettivamente verificarsi nei termini che sto per esporvi.  
Si procedeva tranquillamente sui lunghi rettilinei dell’autostrada semideserta – a velocità moderata - quando, dal sedile posteriore, vidi il che Grande Capo – che, come vi ho detto, si sentiva affaticato – alzava lentamente entrambe le braccia portandosi le mani a coppa dietro la nuca e, emettendo un lungo mugolio, cominciava a stiracchiarsi le membra intorpidite.
In quel preciso momento ebbi la sensazione che il mio collega al volante si irrigidisse, e l’auto cominciò improvvisamente ad accelerare.
Dalla mia postazione sul sedile posteriore avevo un quadro incompleto della situazione, e non capivo bene che cosa stesse succedendo, per cui rimasi in silenzio.
Dopo qualche attimo, tuttavia, dato che l’auto continuava ad accelerare ed il tachimetro era arrivato a toccare i 160 chilometri orari, cominciai a preoccuparmi.
Anche il Grande Capo dovette provare la mia stessa sensazione, perché, con le mani ancora dietro alla nuca, si rivolse al guidatore dicendo:
“Beh, S., cosa le è preso? Vuole farci ammazzare tutti?”
Il dottor S. era come congelato, l’espressione vacua e le mani aggrappate al volante, ed il Grande Capo, non ricevendo risposta, dovette ripetere la sua domanda con un po’ di irritazione nella voce:
“Dico.., ma è impazzito? Ma cosa fa? Sta andando a 180 all’ora!”
Mentre la lancetta del tachimetro saliva inesorabilmente verso i 190, il dottor S., in tono disperato, balbettò un qualcosa come:
“Professore.., guardi.., mi scusi.., il piede…”
“Ma cosa dice? Il piede? Il piede? E quale piede?”
Toccando i 200 chilometri all’ora, il dottor S. – ormai ridotto ad un vero e proprio ritratto della disperazione – trovò la forza di ribattere:
“Il piede, professore, il piede! Il SUO piede!”
Capii tutto il quell’attimo e, per fortuna, qualche secondo dopo, verso i 220 all’ora, lo capì anche il Grande Capo, tirando indietro il suo piede sinistro che, stiracchiandosi, aveva schiaffato con forza sul piede destro del guidatore e quindi anche sull’acceleratore…
Mentre l’auto cominciava a rallentare ed io tiravo un grosso sospiro di sollievo, il Grande Capo chiuse l’episodio con un sarcastico:
“Ma lei ha proprio i riflessi lenti, lo sa? E vuole fare il Nuvolari! Cosa cavolo aspettava ad avvertirmi, di essere arrivato ai 300 all’ora?

Giuliano Giachino


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