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Funk-Brentano

Le stanze dei ricordi - Racconti nefrologici > Livello 11



Come scoprii che il professor Funk-Brentano si occupava di nefrologia



Torino e poi Saint Vincent (Aosta), nella prima metà degli anni ‘70

Nella prima metà degli anni ’70 si tenne in Valle d’Aosta, e precisamente a Saint Vincent, un congresso comune alle due società di nefrologia, quella italiana e quella francese. L’organizzazione del convegno era stata affidata ai nefrologi torinesi, e quindi potete immaginare la vera e propria mobilitazione collettiva che il Grande Capo pretese da tutti noi, al fine che ogni cosa filasse a puntino ed in particolare l’accoglienza ai colleghi transalpini fosse assolutamente impeccabile: ciascuno di noi si vide assegnare compiti precisi e dettagliati, e tutti cercammo di metterli in atto nel modo migliore possibile.
Tra le altre cose, al sottoscritto toccò – il giorno precedente all’inizio del convegno - l’incarico di posizionarsi nel centro di Torino, di fronte all’albergo Principi di Piemonte, ed attendere – ad un’ora che non mi fu precisata troppo bene - l’arrivo di un pullman proveniente da non ricordo più dove (verosimilmente dall’aeroporto di Caselle) e già carico di congressisti francesi: una volta raccolti sul posto eventuali ulteriori partecipanti lì convenuti per altre vie, esso avrebbe poi dovuto proseguire per Saint Vincent. Il mio compito era quello di accogliere i colleghi, salutarli, controllare che tutto andasse per il giusto verso e quindi avviarli tutti assieme a destinazione.
Io – per fortuna, come si vedrà - mi recai al punto di ritrovo con la mia auto e cominciai la mia attesa dopo averla parcheggiata nelle vicinanze (a quei tempi la cosa era ancora possibile anche nel centro della città): contavo infatti, dopo aver svolto il mio compito, di proseguire con essa per Saint Vincent, dove l’indomani mattina il congresso sarebbe cominciato.
Dopo un’attesa lunghissima e snervante – tenete presente che a quei tempi non era ancora possibile dare un colpo di cellulare, spedire un messaggio SMS e chiarire così, immediatamente, una situazione poco chiara – finalmente il famigerato pullman arrivò, e grande fu la mia sorpresa nel vedere che aveva a bordo due sole persone oltre all’autista, e che di questi due passeggeri, uno era un’impiegata dell’agenzia che organizzava il congresso. E dato che ad attendere il mezzo, a terra, non si era presentato assolutamente nessuno, di congressisti veri e propri da portare su a Saint Vincent, ce n’era in definitiva uno e uno solo.
Si trattava di un distinto un signore di mezza età non troppo alto, un po’ tarchiato, con una faccia rotonda e pochi capelli sulla testa, che non suscitò in me alcun particolare ricordo. Con il mio francese un po’ traballante mi presentai e lui fece lo stesso: ma proprio mentre pronunciava il suo nome un’auto di passaggio diede un colpo di clacson, ed io non lo sentii. Dopo di che, preoccupato com’ero di non far brutta figura o apparire scortese, non osai più chiederglielo una seconda volta.
A far sì che io lasciassi perdere il nome del collega contribuì anche il fatto che stava nascendo e andava subito risolto un problema ben più grave: nel mentre che salutavo il collega avevo infatti sentito, accanto a me, l’autista del pullman parlare con l’impiegata ed affermare recisamente di non avere la benché minima intenzione di venir su col suo mezzo sino a Saint Vincent con a bordo solo due o tre persone.
Subito cercai di intervenire, ma non ci fu modo alcuno di fargli cambiare idea: anzi, la discussione in proposito durò assai poco, in quanto ad un certo punto egli, in modo brusco e villano, troncò la discussione, ci voltò la schiena, risalì sul suo mezzo, lo rimise in moto e semplicemente se ne andò, abbandonando il nostro terzetto, mentre calava la sera, sul marciapiede di via Gobetti.
Questo sì che poteva diventare un grosso guaio anche per me! Già mi pareva di sentire il collega transalpino lamentarsi dell’accoglienza ricevuta, ed intravedevo quindi l’addensarsi sul mio capo di nere nubi temporalesche. Disperato, decisi – anche se, lo ammetto, malvolentieri - di dare un taglio alla questione, in fondo anch’io dovevo andare a Saint Vincent e la mia auto era parcheggiata a poca distanza: il collega e l’impiegata li avrei portati a destinazione io stesso. Per cui mi offrii di dar loro un passaggio, ed essi accettarono subito.
Uscire dal centro di Torino un venerdì sera all’ora di punta verso l’autostrada per Aosta (la tangenziale non esisteva ancora) non fu cosa breve, ma alla fine potei premere sull’acceleratore verso la Valle d’Aosta. Ben presto, tuttavia, mi resi conto che nell’arco di ben più di mezz’ora non avevo scambiato con i due passeggeri – il collega francese seduto di fianco a me, la giovane impiegata sul sedile posteriore – neppure una mezza parola.
In effetti, non sapevo proprio che cosa dire e da che parte iniziare un discorso. Il mio francese non era brillantissimo, ignoravo l’identità del passeggero, rivolgermi all’impiegata – per dirle poi cosa? Per farle notare l’inefficienza della sua agenzia? – sarebbe stato fuori luogo.
Per cui, dopo aver rimuginato un po’ tra me e me, finii con uscirmene con la più scontata e banale delle frasi, e dissi:
“Eh bien, vous aussi vous interessez à la nephrologie…! Bene, bene, e così anche lei si occupa di nefrologia…!” …rendendomi conto, mentre ancora parlavo, di star dicendo una sciocchezza: era ovvio che il collega più anziano non poteva essere altro che un nefrologo, se era lì – come era – per prendere parte al congresso!
La sensazione di essermi calato nella parte di monsieur de la Palisse ricevette conferma dalla risposta del collega, che, con un tono di voce chiaramente ironico, quasi divertito, che accrebbe ulteriormente la mia inquietudine, ribatté:
“Mais bien sûr, mon ami.., moi aussi, je m’interesse à la nephrologie…Ma certo, amico mio.., anch’io mi occupo di nefrologia…”.
Tuttavia questa mia prima frase, anche se incongrua, aveva rotto il ghiaccio. La conversazione proseguì infatti spedita e cordiale per tutto il viaggio, coinvolgendo anche l’impiegata sul sedile posteriore, benché io mi guardassi bene dal riportarla su argomenti professionali e la mantenessi rigorosamente sugli argomenti più scontati, prevedibili e lontani dalla medicina: il tempo, la Francia, l’Italia, le bellezze della Valle d’Aosta e così via.
All’arrivo a Saint Vincent il buio era già calato. Parcheggiai l’auto davanti al più lussuoso hotel della cittadina, dove il collega mi aveva detto di aver prenotato, scendemmo e facemmo il nostro ingresso nella hall, splendidamente illuminata e tirata a lucido: io per primo, mentre il collega mi seguiva ad un paio di metri di distanza e l’impiegata veniva per ultima.
Ricordo che vidi in fondo al salone, da lontano, il Grande Capo nello stesso momento in cui lui vedeva noi.
Vidi fiorire sul suo volto un sorriso che andava da un orecchio all’altro, lo vidi spalancare le braccia ed avviarsi rapido verso di noi.
Devo confessare che, per una frazione di secondo, mi illusi che quelle manifestazioni di giubilo fossero per me, ma naturalmente non era così: lui mi venne incontro fino ad essermi proprio davanti, poi mi scartò rapidamente girandomi attorno e si gettò in un vero e proprio abbraccio fraterno con il collega transalpino, accompagnando il gesto con una serie di esclamazioni sul tipo:
“Oh, mon ami, mon ami, soyez donc le bienvenu..!”.
Pochi istanti dopo, accompagnato l’ospite alla conciergerie dell’hotel, tornò indietro, mi prese bruscamente per un braccio e, traendomi un po’ da parte, mi sibilò all’orecchio:
“Giachino, ma dove diavolo ha pescato il professor Funk-Brentano?”
Io non gli risposi, né lui attese la mia risposta, ritornando immediatamente a conversare con l’ospite e lasciandomi a digerire un po’ per volta il fatto di aver domandato se si occupava anche lui di nefrologia a uno dei più eminenti e noti nefrologi di tutta Europa.

Giuliano Giachino



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