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Granbaleari

Le stanze dei ricordi - Racconti nefrologici > Livello 11



In cui si espongono le ragioni per cui acconsentii a che il professor Granbaleari mi facesse fare una brutta figura




Firenze e poi Torino, autunno 1979

Nell’autunno del 1979 si tenne a Firenze un importante Convegno sull’osteodistrofia uremica (le lesioni ossee dei pazienti in dialisi che, a quei tempi, erano assai gravi e invalidanti).
Io vi presi parte con una comunicazione orale che era il frutto di alcuni anni di lavoro, ed in cui illustravo i risultati ottenuti nei primi pazienti trattati, in Italia, con il calcitriolo, un ormone prodotto dal rene ed indispensabile per prevenire alterazioni della funzionalità delle ghiandole paratiroidi e per fissare il calcio nel tessuto osseo (il nome scientifico esteso di questo principio attivo è “1,25-diidrossicolecalciferolo”, la famosa parola che il Grande Capo non riusciva mai a pronunciare correttamente, ed a cui, nella presente raccolta di aneddoti, è dedicata una storiella “specifica”).
Per l’occasione, mi ero preparato assai bene, corredando la mia comunicazione con una sequenza di diapositive a colori che mostravano tabelle, grafici e numerosi preparati istologici di tessuto osseo, frutto di molte ore trascorse a fotografare vetrini con la mia macchina fotografica personale ed il microscopio messomi a disposizione (in ore notturne, di giorno serviva ad altri) da un collega anatomopatologo. Il tutto, naturalmente, a mie spese.
Alla fine del caricatore – i tempi delle presentazioni col computer erano ancora lontani a venire – avevo piazzato due o tre diapositive “di riserva”, da mostrare solo in caso di necessità. In particolare, tra queste, una era di vitale importanza qualora qualcuno mi avesse, al termine della presentazione, fatto una domanda un po’ velenosa, come c’era sempre da aspettarsi in quell’ambiente. Ad esempio:
“Come mai alcuni dei paratormoni dei suoi pazienti continuano ad aumentare nonostante la terapia da lei praticata con il calcitriolo, ed i risultati positivi dal punto di vista radiologico? E’ sicuro, dottor Giachino, di aver tenuto correttamente sotto controllo la fosforemia dei suoi pazienti?”.
Sarebbe stata davvero una domanda “cattiva”, dato che a quei tempi essa – e tutti lo sapevamo - non aveva ancora trovato una risposta dal punto di vista scientifico; ma la diapositiva che tenevo di riserva – che riproduceva una tabella tratta dalla pubblicazione, sul medesimo argomento, di un eminente e notissimo studioso di Los Angeles - avrebbe, se non altro, dimostrato che un collega ben più importante e famoso di me aveva ottenuto i miei stessi risultati.
La comunicazione andò benissimo, mi furono fatte alcune domande a cui risposi esaurientemente, già pensavo che tutto sarebbe filato liscio sino in fondo, allorché, inaspettatamente, ad aprire la bocca ed a farmi, con tono supponente e severo, la temuta domanda, fu nientemeno che il “chairman” dell’occasione, il professor Granbaleari, uno tra i più noti – e potenti - nefrologi italiani di allora.
Fu un momento veramente difficile, poiché – avevo capito sin dal primo istante dove lui sarebbe andato a parare - dovetti prendere la mia decisione nel giro di meno di un minuto, nel mentre che lui parlava.
Tirare fuori la mia famosa diapositiva “di riserva” e schiaffargliela in faccia davanti a tutto l’uditorio sarebbe stato un po’come dirgli:
“Tiè, ecco qua! E proprio tu non l’avevi ancora letto, questo articolo americano?”
Questo lo si poteva fare – e l’avrei fatto - con uno qualunque, della mia età o di minore importanza rispetto a lui, farlo al “chairman” era già un po’ più pericoloso, farlo addirittura e pubblicamente ad uno come il Granbaleari era semplicemente temerario.
In più, proprio mentre lui terminava di parlare e cominciava a guardarmi fisso in viso attendendo la mia risposta, mi passarono attraverso la mente, in rapide ondate successive, tre pensieri terrificanti.
Primo pensiero.
Il calcitriolo era un principio attivo non ancora in commercio in Italia, e la lotta tra cattedratici per poterlo ottenere dalla ditta produttrice e sperimentarlo per primi era stata lunga e senza esclusione di colpi. Uno dei pochi che l’aveva spuntata era stato Vercellone, mentre il Granbaleari era rimasto escluso dai giuochi: ecco la ragione del suo astio!
Secondo pensiero.
Dopo uno scacco del genere, l’occasione per far fare una brutta figura ad un allievo di Vercellone che relazionava proprio su quell’argomento doveva esser vista da lui quanto meno come “ostriche & champagne” su di un piatto d’argento!
Terzo pensiero (e il peggiore)
Si era di venerdì, e tre giorni dopo, il lunedì, io – allora “assistente” - avrei sostenuto, a Torino, il concorso per un posto di “aiuto” di nefrologia e dialisi, una svolta cruciale nella mia carriera: e chi era il capo della commissione esaminatrice? Guarda caso proprio il Granbaleari!
Nel giro di pochi secondi, decisi che il suicidio è una cosa seria, e che non era ancora giunto il momento di provarci.
Non tirai fuori la diapositiva che avrebbe dimostrato come la sua domanda fosse tendenziosa ed ingiustificata, e gli risposi che la sua era una domanda giusta e pertinente, che il mio studio non era ancora terminato e che quelli che avevo presentato erano solo risultati preliminari. E conclusi dicendo che avrei tenuto in debito conto la sua critica nelle fasi successive della sperimentazione.
Lui si dimostrò soddisfatto della mia risposta e tutto finì lì. Non avevo fatto proprio una brutta figura, ma avevo comunque dovuto accettare senza contrarla una critica pubblica al mio lavoro.
Il lunedì successivo vinsi il concorso e divenni aiuto di nefrologia e dialisi.
Ora, qualcuno degli improbabili lettori di questa storia potrà pensare: “Ma questa, il Giachino se l’è proprio inventata…”, non tanto nel senso che essa non sia veramente accaduta, ma nel senso che tutti i retroscena che ho raccontato potrebbero essersi svolti ed aver avuto una loro realtà solo ed esclusivamente all’interno del mio sospettoso cervello…
No, signori, non andò affatto così.
Il lunedì sera infatti, sostenuto l’esame di concorso e consapevole di averlo superato, mi avviavo già, per andarmene, alla porta della stanza in cui era riunita la commissione, allorché vidi il Granbaleari venire obliquamente nella mia direzione, e raggiungermi proprio sulla soglia.
Poi mi spalancò un sorriso da trentadue denti, mi tese la mano e strinse la mia dicendo con tono mellifluo:
“Complimenti, dottor Giachino. Lei è un bravo medico ed un uomo prudente. Farà carriera!”
No, non mi ero sognato tutto quanto, a Firenze. Mi ero solo premunito indossando di corsa un paio di robuste mutande di latta…

Giuliano Giachino



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