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Il telefono rotto

Le stanze dei ricordi - Racconti nefrologici > Livello 11



Lo strano caso del telefono rotto, utilizzato per sollecitarne la riparazione


Torino, Ospedale Molinette, verso la metà degli anni ‘70

Da alcuni giorni il telefono che si trovava sulla scrivania dello studio del Grande Capo, in ospedale, era rotto. In conseguenza di ciò, il Grande Capo non poteva ricevere né effettuare telefonate, non solo con l’esterno dell’ospedale, ma neppure con gli altri reparti. Questo fatto l’aveva portato un po’ per volta al parossismo dell’irritazione, anche perché ne aveva già da alcuni giorni sollecitata la riparazione presso gli Uffici Competenti, senza esito alcuno: l’apparecchio continuava a tacere.
Ero seduto di fronte a lui alla scrivania del suo studio per parlare di non so più cosa, quando egli, improvvisamente, afferrò con rabbia la cornetta del telefono in questione senza che esso avesse squillato, se la portò all’orecchio, restò immobile e in silenzio per qualche istante come concentrato nell’ascolto, e poi – facendomi sobbalzare – me la schiaffò sull’orecchio destro dicendo imperativamente:
“Che cosa sente?”.
Dalla cornetta non proveniva il minimo rumore, e quindi io risposi: “Nulla”.
Lui mi tolse la cornetta dall’orecchio e la sbatté sul ricevitore:
“Appunto! Nulla! Ma lo sa che sono già quattro giorni che quest’affare non funziona e tre da che ne ho chiesta la riparazione? Sono isolato, semplicemente isolato! Devo parlare urgentemente con Granbaleari, che aspetta una mia chiamata, e non posso farlo...
Ė pazzesco, è semplicemente pazzesco come in questo ospedale non funzioni assolutamente nulla…!”.
Incerto se tacere o su che cosa dire per non accrescere la sua irritazione, azzardai un: “Professore, provi a sollecitare…”.
Ma la mia non era la risposta esatta:
“E cosa cavolo crede? Che non l’abbia già fatto? L’altro ieri ho fatto telefonare dalla caposala: nessun risultato, se non sentono me è come non aver chiamato… Ieri sono andato di persona - se mando uno di voi o un infermiere manco lo ascoltano - sino all’altro capo dell’ospedale, all’Ufficio Tecnico: nulla! Nulla di nulla! Beh, adesso lasciamo perdere e proseguiamo a lavorare. Presto o tardi si decideranno a fare qualcosa…”.
Proseguimmo a esaminare le carte sparse sulla scrivania per una mezz’ora, quando – e anche stavolta all’improvviso – la scena si ripeté nuovamente e nella medesima sequenza: lui afferrò la cornetta del telefono, se la portò all’orecchio, ascoltò per qualche istante ed io me la ritrovai infine sull’orecchio nel mentre che lui ringhiava: “Che cosa sente?”.
“Sempre nulla”.
“Ecco, appunto, sempre nulla! Nulla! Qui va a finire che non me lo riparano neppure stamattina! E io che devo chiamare Granbaleari per una cosa importantissima! (eccetera, eccetera, eccetera)”.
Tra il secondo ed il terzo episodio passarono solo più dieci minuti. Questa volta, però, lui saltò i preliminari, cioè a dire afferrò la cornetta e me la posò direttamente sull’orecchio:
“Che cosa sente?”.
“Sempre nulla”.
“Ecco, appunto, nulla! Qui mi sa che devo proprio sollecitare ancora, e devo farlo di persona.. Ma, con tutte le cose che ho da fare, dove lo trovo il tempo per attraversare tutto l’ospedale…? Dovrei farlo per telefono…”.
Fu a questo punto che – compresso tra l’irritazione che cominciava a nascere in me e l’impossibilità a manifestarla – l’angolino toscano ed irridente del mio carattere fece capolino e mi spinse a rischiare il collo per il puro e semplice gusto di fare un dispetto, e senza neppure sapere ancora se il dispetto sarebbe riuscito o meno.
Mentre il Grande Capo stava terminando di dire “…dovrei farlo per telefono, ma non ho voglia di andare a fare questa chiamata in segreteria o nella stanza del medico di guardia…”, il sottoscritto, con la palma della mano rivolta all’insù a dita unite, gli indicò in silenzio, con aria umile e mite, il telefono che stava tra di noi - quello rotto – con un gesto che significava chiaramente: “Ma usi questo!”.
Signori, potete crederci o meno, ma la cosa funzionò. Lui rimase un attimo come interdetto, poi fece un mezzo sorriso, mormorò un grazie – sul serio! -, prese la cornetta, se la portò all’orecchio ed iniziò a comporre il numero. Naturalmente, si rese conto della situazione prima di averlo terminato e di lì in poi furono per me tempesta e grandine.
Ma non importa, sopportai stoicamente sia l’una che l’altra. Ero riuscito a convincere il Grande Capo a sollecitare la riparazione di un telefono rotto utilizzando allo scopo quello stesso telefono. E che grandine sia! Ne era valsa la pena!

Giuliano Giachino



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