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Piazza Armerina

Le stanze dei ricordi - Racconti nefrologici > Livello 11



La curiosa storia della signora Piazza (che poi era un omaccione calabrese)


Torino, Ospedale Nuova Astanteria Martini, prima metà degli anni ‘80

Si era alla fine di una mattinata di lavoro ed il telefono interno del reparto dialisi, semisepolto da taccuini, carte e fogli vari, squillò sulla mia scrivania mentre ero intento a raccogliere dei dati bibliografici. Subito sollevai la cornetta e risposi:
“Pronto?”.
“Ah, bene, sei proprio tu, Giachino! Senti un po’, sarebbe proprio ora che tu cominciassi a mettere un po’ di ordine nelle tue idee, e a fare meno casino con le prenotazioni, inviandoci pazienti che poi non si fanno vedere!”.
Era la voce di un collega radiologo dal carattere notoriamente un po’ spinoso, che mi chiamava dal suo reparto al secondo piano, protestando un po’ troppo vivacemente per una qualche mia mancanza o imprecisione nelle prenotazioni dei controlli radiologici periodici per i nostri pazienti in dialisi cronica: ma la natura del terribile ed imperdonabile  errore da me commesso mi era assolutamente ignota.
Protestai cercando di ottenere ulteriori spiegazioni, e venni sommerso da una serie di ulteriori proteste e rimbrotti poco gradevoli sia nella forma che nella sostanza, esposti in modo concitato e confuso e quindi per nulla chiarificatori circa l’oggetto del contendere.
Alla fine sbottai:
“Zitto! Fermati un attimo e spiegati come si deve! Cosa cavolo avrei fatto di sbagliato?”.
“E me lo chiedi? Ci prenoti controlli per pazienti che poi non si presentano, così ci restano dei buchi vuoti, noi perdiamo tempo prezioso e le liste di attesa per gli esterni si allungano sempre di più…!”.
Un po’ piccato, ribattei:
“E quando si sarebbe verificata questa cosa tremenda?”.

“Stamane, per esempio. Hai prenotato per le ore 8 un’ecografia alla signora Piazza: sono ormai le 11, l’abbiamo chiamata almeno quattro volte, ma la signora Piazza non c’è. Capirai anche tu che non si può andare avanti così!”.
Nel mentre che il collega parlava, io passai mentalmente in rassegna, in pochi secondi, tutti i nostri dializzati e conclusi che tra di essi non c’era e non c’era mai stata una signora Piazza. Lo dissi, con tono calmo e sicuro, e l’irritazione del radiologo, all’altro capo del filo, crebbe ulteriormente:
“Ma che cavolo dici! Guarda, ho qui in mano il foglio di prenotazione con tutti i dati della paziente, ed è firmato proprio da te, conosco benissimo la tua firma. Ecco qua: Lunedì 14 Maggio, ore 8, signora Piazza.... Ah, ecco, ecco qua: Piazza! Piazza..., hmm…, Piazza…, hmm, …Armerina”.
L’ultima parola fu pronunciata più lentamente e con tono che andava progressivamente spegnendosi. Poi la frase si interruppe a metà con una specie di singulto, a cui seguì un lungo silenzio imbarazzato, che si concluse con il click dei ricevitore che veniva riabbassato.
La supposta signora Piazza era in realtà un grosso omaccione calabrese di origine siciliana, nato a Piazza Armerina, e che ormai, dopo oltre tre ore di attesa nell’anticamera della radiologia senza venire mai chiamato, cominciava a manifestare tutti i sintomi classici di una brusca crisi ipertensiva.

Giuliano Giachino

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